Il Matrimonio Indiano
L’Italia è spesso meta di coppie di innamorati di diverse nazionalità, che scelgono di pronunciare il loro ‘Sì’ più dolce nel bel Paese, per l’ospitalità e le incantevoli cornici naturali e storiche che esso offre praticamente in ogni angolo.
Sempre più frequentemente regioni come la Puglia, l’Umbria e la Toscana vengono preferite dalle giovani coppie di sposi di nazionalità indiana per ospitare il loro matrimonio: ciò per la bellezza inconfutabile dei paesaggi, la grande ‘versatilità’ dei luoghi, l’elevata ‘ospitabilità’ delle dimore storiche, delle tenute e dei castelli di questi territori.
Caratteristiche del matrimonio indiano
I matrimoni indiani, in genere articolati su tre giorni di festeggiamenti, richiedono location estremamente ampie, capaci di ospitare dai 150 ai 300 invitati: è consuetudine che i diversi momenti cerimoniali si tengano in spazi diversi, con allestimenti ‘coordinati’ ma a sé stanti, e che nella stessa location o nei pressi più vicini siano presenti camere e strutture alberghiere.
La prima delle cerimonie di un matrimonio indiano è quella del Misri: alcuni giorni prima delle nozze, i genitori dello sposo portano alla sposa dei cristalli di zucchero e diversi altri doni per augurare ad entrambi che la dolcezza non manchi mai nel loro futuro insieme.
Uno o due giorni prima delle nozze viene celebrata la cerimonia tutta al femminile del Mehendi: le ragazze, ed in particolare la sposa, decorano le mani e i piedi con tatuaggi all’henné dalle linee sottili e leggere. Gli intricati disegni indicano simbolicamente il profondo legame che nascerà tra marito e moglie.
Haldi è invece un rituale propiziatorio con il quale alcune donne delle due famiglie ricoprono la pelle degli sposi con una pasta di curcuma, sandalo e acqua di rose.
Spesso la cerimonia Mehendi viene combinata con quella del Sagri: in questa occasione, i membri femminili della famiglia dello sposo portano regali e fiori alla sposa. Nella sera dello stesso giorno si svolge anche il rituale del Sangeet, dedicato completamente al divertimento ed alla socializzazione da parte delle due famiglie: con danze tipiche e balli sfrenati che si protraggono fino a tarda notte, si celebra e si circonda di gioia e felicità la futura coppia.
La mattina del matrimonio, gli sposi vengono impegnati in due piccole ed intimissime cerimonie, durante le quali la sposa viene adornata da braccialetti colorati bianchi e rossi precedentemente bagnati nel latte – i choora – che dovrà indossare per 40 giorni.
Tradizionalmente, i genitori della sposa ospitano la vera e propria cerimonia nuziale che si svolge sotto un baldacchino denominato mandap: lo sposo lo raggiunge seguendo la tradizione del “Baraat” sul dorso di un cavallo o, come vorrebbe un’altra tradizione un po’ scomoda da realizzare qui in Italia, su quello di un elefante. La lunga processione include molti canti e danze che celebrano la felicità dello sposo e della sua famiglia nell’accogliere la sposa.
Quest’ultima giunge al mandap accompagnata dal padre. Al suo arrivo un telo bianco divide la coppia: esso viene tolto quando gli sposi si scambiano delle ghirlande floreali, per dimostrare che entrambi approvano questa unione. A questo punto del rito, il padre della sposa mette la mano di sua figlia in quella dello sposo, affidandogliela ufficialmente. Segue quindi il rituale del ‘tenersi per mano’, simbolo dell’unione matrimoniale: lo sposo accetta la sua sposa e promette a lei e ai suoi genitori che la proteggerà e si prenderà cura di lei fino alla morte.
Imprescindibile è il rito del Saptapadi: la coppia gira per sette volte intorno ad un Fuoco Sacro, testimone muto dei voti fatti dagli sposi, al quale gli sposi offrono ghee (Vivaha Homa) e riso (Laja Homa). Spesso, per questa particolare cerimonia, un capo di abbigliamento indossato dalla sposa e dallo sposo vengono legati insieme.
Ogni giro intorno al fuoco rappresenta un voto coniugale, una promessa di impegnarsi a vicenda e di prendersi cura l’uno dell’altro. Dal punto di vista del diritto matrimoniale, In India, nessuna unione indù è davvero valida e completa prima della conclusione della settima fase del rito Saptapadi: la sposa compie sette passi simbolici mentre spinge una pietra sul pavimento con il piede sinistro. Ogni passo indica una specifica promessa reciproca, tra cui quelle riguardanti il rispetto e l’onore, l’empatia, la fiducia e la lealtà, la conoscenza e il sacrificio, la purezza delle emozioni e il senso del dovere, la crescita spirituale, l’amicizia e l’amore.
Infine, si tiene la cerimonia del Vidaai, durante la quale la sposa mette fine al debito con i suoi genitori per averla cresciuta, gettando simbolicamente del riso all’indietro.
Scenografie e decorazioni floreali con colori vibranti ed accesi caratterizzano ognuna di queste celebrazioni, ma un aspetto da curare con particolare attenzione è in assoluto quello dell’illuminazione: non bisogna lesinare con candele e ceri profumati, alternati a suggestive lanterne ornamentali.
Tradizionalmente, per la cerimonia, la sposa di un matrimonio indiano indossa un ‘sari’ nuziale in seta, raso, cotone o altri materiali. Il colore dell’abito, in genere, è tra le varie tonalità del rosso e dell’arancio, considerati di buon auspicio. L’alternativa più diffusa al sari è il ‘lehenga’, un sofisticato abito tradizionale ma allo stesso tempo molto contemporaneo, realizzato in vari materiali e colori che vanno dal rosso al rosa e dal blu al verde. La sposa viene ornata di numerosi e tintinnanti gioielli come i bracciali-simbolo dei riti nuziali, il ‘maangtika’ sulla fronte, gli orecchini, l’anello al naso, una collana dalle dimensioni importanti, anelli e cavigliere.
Organizzare un matrimonio indiano in Italia vuol dire cimentarsi con un’organizzazione logistica di una certa complessità, ma soprattutto calarsi con rispetto in una meravigliosa e peculiare cultura, coglierne ed esaltarne i contenuti simbolici con una cura estrema dei dettagli, fare in modo che tradizione, modernità ed esclusività coesistano e collaborino tra loro a creare qualcosa di unico ed indimenticabile.
Non resterà poi che pronunciare il fatidico: ‘Ji, Haan mujhe chaahie’.